Breve storia delle ricerche sulle rocce di Valcamonica: un’avventura continua

L’incredibile avventura della scoperta, anni di ricerche scientifiche e di documentazione puntuale delle rocce incise. Dai primi del Novecento ad oggi, la Valcamonica non ha mai smesso di restituire un incredibile repertorio di incisioni rupestri, un libro scritto sulla pietra dai nostri antenati.
Dal 1964 il Centro Camuno lavora al servizio del territorio, con un solido appoggio nel suo passato e una costate attenzione alle nuove tecnologie.

 

Testi di Cristina Gastaldi e Mila Simoes de Abreu

Inizio '900

Agli albori dell’archeologia rupestre: i primi del Novecento

 

Nella rossa Guida d’Italia, edita dal Touring Club Italiano nel 1914 e curata da Luigi Vittorio Bertarelli, la scheda sulle escursioni fra Breno e Capo di Ponte riporta la prima segnalazione moderna di incisioni rupestri: «In un campo che si incontra prima di giungere alla Pieve, due grossi trovanti con sculture e graffiti simili a quelli famosi del Lago delle Meraviglie nelle Alpi Marittime». Autore della nota, che si riferisce ai massi dell’età del Rame del Pian delle Greppe a Cemmo, era stato Gualtiero (Walther) Laeng, un giovane alpinista, naturalista e geologo, che già nel 1909, in una lettera purtroppo perduta rivolta al “Comitato nazionale per la protezione del paesaggio e dei monumenti” del TCI, si era reso conto dell’eccezionale importanza e dell’estrema antichità delle rocce.

La Prima guerra mondiale sposta il fronte nella parte più settentrionale della Valle e di fatto interrompe la frequentazione della zona da parte degli studiosi. In questi anni, il secondo masso di Cemmo scompare in mezzo alle sterpaglie, tanto che non viene nominato nelle pubblicazioni dell’epoca; si dovrà aspettare il 1930 perché riveda la luce, ad opera di Giovanni Marro.

Durante gli anni Venti, il geologo ligure-piemontese Senofonte Squinabol si rivela una figura chiave per la scoperta e la divulgazione delle incisioni rupestri camune. Squinabol, nella sua formazione, aveva curato i rilevamenti per la Carta Geologica anche nell’area del Monte Bego, esaminando e verificando con cura le incisioni, note da tempo nell’ambito scientifico. Giunto in Valcamonica alla fine della Grande Guerra, si appassiona alle rocce e alla morfologia geologica della valle; stabilisce la sua residenza estiva a Cemmo e si imparenta con Murachelli, il podestà di Capo di Ponte. Squinabol scopre e riconosce diverse incisioni rupestri mentre studia le strie glaciali sulle arenarie camune e, insieme al podestà, suo consuocero, ricerca a Cemmo i massi descritti da Laeng, constatando, nel 1921, l’occultamento del secondo masso. Si adopera, quindi, perché possa essere liberato da sterpaglie e detriti: la sua segnalazione, accompagnata anche da alcuni calchi in gesso, ora scomparsi, resta inascoltata, anche perché la Regia Soprintendenza agli Scavi e Musei della Lombardia, con sede presso la Certosa di Pavia sta per essere sciolta; nel 1924, infatti, la giurisdizione su tutta la Lombardia passa alla Soprintendenza di Torino, dove opera soprattutto l’ispettore Pietro Barocelli, assai attento allo studio e alla documentazione sulle incisioni rupestri, soprattutto per quanto riguarda il Monte Bego.

Giuseppe Bonafini, studioso di Cividate Camuno, nella sua tesi di laurea, La Valcamonica nelle età preistoriche e romana, discussa nel 1927, segnala e descrive anche il masso ancora visibile al Pian delle Greppe. Sull’onda di queste prime segnalazioni, l’antropologo torinese Giovanni Marro, nel 1928, presenta domanda di concessione per effettuare ricerche a Cemmo e dall’anno successivo fino al 1933 effettua regolari campagne in Valcamonica.

 

Anni '30 e '40

La ripresa negli anni '50

Gli anni '60 e'70

Gli anni '80 e '90

Gli anni Duemila


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